La Shocking Experience, non c’è mai fine al peggio… #3

La teoria della persuasione, da Cialdini alle nuove conoscenze sui Bias e le Euristiche, offre infinite frecce all’arco di un venditore. Conoscere il funzionamento della nostra mente ci aiuta ad essere più efficaci con noi stessi e con gli altri. Il concetto di  “Esperienza di acquisto del consumatore”  ma anche la teoria della persuasione di Cialdini sposta l’attenzione sul risultato per il cliente e non del venditore.

La migliori teorie e metodologie di vendita sono ben lontane da parlare del solo tornaconto del venditore. Al contrario, la professionalità del venditore è misurata con il risultato ma anche con la capacità di ottenere un risultato che sia Win-Win per sè e per il cliente.

In più, quando un venditore si rapporta al cliente è sempre e comunque, non solo una persona con la sua individualità e la sua personalità, ma una figura aziendale.

Non si deve mai dimenticare che si agisce e si opera in nome e per conto di un brand, una azienda che ha una sua immagine, una sua reputazione, una sua identità che ne ha costruito il successo. L’imprenditore ha scelto cosa vuole essere per il suo cliente e si è organizzato e comunicato in funzione di questo.

La maggior parte degli annunci per la ricerca di Direttori, Store manager e addetti alle vendite recitano frasi del tipo

“allinearsi con gli standard e le richieste aziendali”

“garantire la massima soddisfazione del cliente”

“implementare la cultura commerciale e i valori aziendali orientati totalmente al Cliente e alla sua soddisfazione”

Nessuno richiede o concede la libertà di impostare i rapporti con i clienti con discrezionalità e autonomia, in base alle esigenze personali e alla propria valutazione del cliente stesso.

Alcune aziende vietano espressamente di accettare regali dai clienti o peggio ancora agire o parlare in maniera da lasciar intendere che il cliente abbia qualche obbligo che vada oltre il dovere di pagare il prezzo stabilito.

La cortesia di offrire un caffè è una discrezionalità, talvolta esercitata dai clienti, che è una semplice e pura gentilezza delle persone più sensibili. Alla stessa stregua, il fare un complimento per il lavoro svolto verbale o scritto , lasciare una recensione positiva sui social, si potrebbe definire una liberalità del cliente, tale in quanto desiderata e voluta dallo stesso.

Ritrovarsi davanti ad una addetta vendita che esige simpaticamente un dono, per il semplice motivo che si è originari dello stesso luogo; oppure perché si è adoperata al massimo per il cliente o peggio, perché gli è stato riservato un trattamento economico che altri non hanno ricevuto, in quale tecnica di persuasione rientra?

E pretendere una recensione positiva personale sui social?

E quando il comportamento viene reiterato con costanza, dando ad intendere che è un regalo personale e non per il punto vendita nel complesso, tantomeno per l’azienda che risulta manchevole, qual è l’obiettivo della tecnica?

Si vuole ispirare il senso di obbligo? La reciprocità?

La potenza del meccanismo è ancora ritenuto fortissimo, per quanto il livello culturale accresciuto e la consapevolezza acquisita dei clienti li rende sempre meno sensibili a tale meccanismo e sempre più resistenti.

Va fatta una precisazione, tuttavia, il meccanismo della reciprocità presuppone che sia l’azienda o il venditore (per conto dell’azienda) ad offrire qualcosa al cliente a priori e prima di qualsiasi sua decisione in merito agli acquisti. La questua da parte del venditore di regali di ogni tipo, dal cibo ai buoni regalo, dando ad intendere uno stato di bisogno personale non rientra in nessuna attività di marketing o vendita mai letta o insegnata.

Il comportamento questuante, per quanto manifestato simpaticamente, ha degli effetti sempre e comunque; provoca delle emozioni che non è possibile misurare o riconoscere.

Quale sarà stata la Shopping Experience del cliente?

Il cliente sarà stato capace di distinguere fra la persona che ha assunto tali comportamenti e l’azienda che questa persona stava rappresentando in quel momento?

I costi nascosti di questi comportamenti non sono misurabili, né nella quantità né nella durata nel tempo nella mente del cliente.

Ancora meno è possibile valutare il danno d’immagine per il brand o l’insegna.